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Vanno avanti i processi di trasformazione digitale delle imprese italiane ma sono ancora poche le aziende che possono dirsi completamente pronte

Il numero di aziende in Italia che ha sviluppato almeno un piano di trasformazione digitale è molto alto e il tasso di accelerazione verso la nuova dimensione è altrettanto alto, ma scende drasticamente ad una azienda su cinque se questa si deve considerare pronta e capace di competere nella dimensione digitale. Un traguardo resosi ancora più necessario dal calendario imposto dall’emergenza pandemica che ad ondate si riversa con le sue conseguenze anche sul mondo delle imprese. L’Italia naviga nelle stesse acque dei paesi più industrializzati che sono stati analizzati dal report di Vodafone Business, realizzato con la London School of Economics.

11 i paesi presi in considerazione, oltre 2500 realtà di tutte le dimensioni passate al setaccio per definire un’azienda “Fit for the Future” capace di cambiare, adattarsi ai nuovi trend attraverso la capacità di competere nei nuovi mercati e con una strategia chiara sui proprio obiettivi di trasformazione. Intanto si scorge che non ci sono grandi differenze sulla base del numero di dipendenti, dalle piccole alle grandi l’oscillazione è compresa tra il 21 e il 25 per cento. Ma il tratto distintivo è proprio il vantaggio acquisito grazie a chi ha messo in atto una strategia di trasformazione digitale che restituisce il dato che in Italia le imprese che si ritengono ‘pronte per il futuro’ sono il 21% e la stragrande maggioranza di esse è ottimista riguardo al ruolo della tecnologia nella società, con vantaggi anche all’interno dell’azienda. L’indagine conferma come le aziende con queste caratteristiche sono in grado di soddisfare le richieste dei propri clienti, ponendo attenzione a temi come la sostenibilità e all’incremento della spesa ESG (Environmental social and corporate governance) e CSR (Corporate social responsibility) nel prossimo anno, in linea con la media degli altri paesi presi in considerazione. Una trasformazione che in ogni caso vive ancora una fase di assestamento: dallo sviluppo e il mantenimento di sane relazioni di lavoro a quello della motivazione dei dipendenti, il 73 per cento delle imprese ha affermato che almeno un aspetto della cultura aziendale sta diventando di più difficile gestione.

E se i fondi del Pnrr rappresentano un’occasione unica per accelerare il percorso di digitalizzazione delle imprese italiane insieme alle luci non mancano le ombre. Il Pnrr che ha messo nella missione 1 la digitalizzazione, nel comparto costruzioni è fermo ancora ad una ripartizione del 43% del totale, un dato diramato dall’Ance, l’associazione dei costruttori che ha destato allarme, sia pure circoscritto alla quota per il settore delle costruzioni che rappresenta poco, circa il 5-6 per cento del totale. Ma è comunque un altro campo dove migliorare la performance che arriva dopo il bando per portare la fibra ottica nelle isole minori andato deserto per un errore formale e per la carenza di navi che posano i cavi sul fondo del mare. Il ministro della transizione digitale Vittorio Colao ha voluto quindi rassicurare i parlamentari in audizione alla Camera: “Sui 19,8 miliardi circa sono stati già assegnati 9,5 miliardi pari a circa il 48 per cento del totale dei fondi per la digitalizzazione, di cui 3,7 miliardi per Italia ad un Giga, 2,2 per Italia a 5G, 1,7 per lo spazio”. Per il ministro c’è stato “un progresso in linea con le scadenze stringenti del Pnrr e le ambizioni che avevo dichiarato a inizio mandato”. Per la digitalizzazione il piatto forte saranno i bandi per costruire la rete in fibra ottica, da assegnare entro giugno, mentre il super cloud nazionale della pubblica amministrazione, su cui è in vantaggio l’alleanza tra Cassa Depositi e Prestiti, Leonardo, Tim e Sogei, dovrà essere pronto entro l’anno.