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L’Unione europea vuole regolare i servizi digitali con potere di sanzione per i comportamenti sleali delle piattaforme online e lanciare nuovi Middleware a tutela degli utenti

La commissione europea ha varato nuovi regolamenti dei servizi digitali. Una ridefinizione di ruoli e responsabilità imposta dai cambiamenti di questi anni che fanno apparire obsolete le regole UE sui servizi digitali nel mercato interno che risalivano al 2000. Negli ultimi 20 anni i cambiamenti sono stati talmente profondi e veloci che hanno spinto la commissione a presentare a metà dicembre due atti legislativi per affrontare i nuovi scenari completamente diversi: Il regolamento sui servizi digitali (Digital Services Act) che fissa nuovi obblighi e responsabilità introducendo la figura degli intermediari digitali e il Digital Markets Act che si occuperà dei comportamenti delle aziende. I gatekeeper digitali saranno chiamati a rispettare una serie di disposizioni che puntano ad evitare comportamenti sleali. La versione definitiva del DMA conterrà sanzioni proporzionate e graduali con efficacia deterrente per le inadempienze, dicono i commissari per il mercato interno: “con un quadro chiaro e prevedibile per il mercato unico, poteri di intervento rapido e preventivo con la possibilità di imporre sanzioni, l’Europa si dota di strumenti per anticipare comportamenti dannosi online prima che si verifichino”. E secondo la Vice Presidente Esecutiva Margrethe Vestager con una ratio simile al codice della strada che “non ci impedisce di raggiungere la destinazione, ma più semplicemente garantisce un viaggio più sicuro per tutti”.

Su questo provvedimento non mancano voci contrarie per un insieme di regole di concorrenza applicabili solo ai mercati digitali che secondo alcuni esperti dell’European University Institute saranno incapaci di intercettare le zone grigie. Il DMA verrebbe applicato su criteri di presunzione di legalità facilmente discutibili da approcci di segno opposto in materia economica e contrari alle politiche di concorrenza dell’UE nell’ultimo decennio. La Commissione vieterà alcune pratiche da parte dei motori di ricerca, dei sistemi operativi e dei fornitori di servizi cloud per rispondere alle preoccupazioni che le loro pratiche siano sleali per i consumatori e per i nuovi operatori del mercato. Ad esempio, la Commissione potrebbe costringere le imprese a condividere dati commerciali, vietare alle piattaforme di fornire una classificazione preferenziale dei propri servizi e vietare ai siti di iscrivere automaticamente gli utenti a più di uno dei suoi servizi. Queste norme potrebbero avere impatti diversi sulle piattaforme a seconda dei loro modelli commerciali e nel corso del 2021 verranno discusse ed emendate dal Parlamento europeo. Sul tavolo ci sono multe fino al 10% dei ricavi globali per chi viola le regole della concorrenza e fino al 6% dei ricavi per il mancato controllo dei contenuti. E c’è anche la possibilità per l’Ue di chiedere lo separazione strutturale delle aziende che vengono multate tre volte in cinque anni.

Per il Digital Service Act l’Unione Europea cerca invece di fissare nuove responsabilità per le piattaforme online ovunque si trovino nell’Ue, riguardo ai contenuti pubblicati, in particolare per definire quali sono quelli considerati illegali, come l’incitamento all’odio e alla violenza, il terrorismo, la pedopornografia, la vendita di prodotti illegali o contraffatti. Uno degli snodi per regolare le dinamiche della produzione di contenuti controversi passa dunque per la creazione degli intermediari digitali, una strada già intrapresa negli Stati Uniti dove per primi sono stati lanciate le nuove versioni di middleware, software che utilizzano la massa di dati e informazioni in possesso delle grandi piattaforme, ma che in questa declinazione regolatoria li presentano all’utente invece che secondo le priorità decise dagli algoritmi delle piattaforme medesime, secondo quelle scelte dagli utenti. Un piano rovesciato nel quale sono i fruitori a decidere in che modo debbano essere filtrate e selezionate le informazioni che ricevono. La fiducia è riposta nel fatto che un middleware messo a punto da una facoltà scientifica o da esperti di fact checking per fare degli esempi potrebbe bloccare o segnalare post e notizie come non verificate o ingannevoli. Gli studiosi del settore immaginano un percorso di perfezionamento per far si che il mediatore informatico sia trasparente, efficace e non troppo invadente anche nei confronti delle società presenti sul mercato. L’obiettivo finale è che con i middleware agli utenti delle piattaforme sia restituito il controllo, affinchè loro e non qualche invisibile programma di intelligenza artificiale determini quello che vedono e di conseguenza porti a scegliere, sia esso un prodotto commerciale o un’opinione.