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Immaginare il mondo post Covid, la crisi restituisce il valore del lavoro ‘Human-centric’ ma con la necessità di qualificare sempre di più le professioni del domani

In uno dei suoi ultimi report il World Economic Forum si è soffermato su come ripensare il mondo del lavoro immaginando un anno zero con il quale tutti devono confrontarsi all’indomani della pandemia. Un brusco reset ha infranto molte certezze degli ultimi 10 anni improntati su politiche protese verso l’automazione del lavoro, con conseguenti processi di transizione più o meno marcati. Tutto da rifare secondo il White Paper del World Economic Forum dedicato al futuro del lavoro che ha interpellato vari responsabili delle Risorse Umane in realtà grandi e piccole ricavandone una visione di un mondo post Covid più equo e sostenibile e soprattutto ‘Human-centric’, una tendenza in nome della resilienza a lungo termine pensando al futuro successo impostata sulla riapertura della strada verso una migliore e più ampia produttività incentrata sul lavoro svolto dall’uomo.

Restano validi modelli di organizzazione della forza lavoro su più canali, l’importanza dei modelli ibridi e agili come lo smart working, l’allineamento tra nuove tecnologie e competenze. L’abbraccio all’innovazione nel business non verrà certamento meno, ma la cultura del lavoro svolto da umani sarà il vero valore e secondo il rapporto, ancora più importante davanti alle incertezze di economie nazionali che passeranno il prossimo biennio a combattere contro crisi e recessioni di gravità inedita per risalire la china e il divario tra i paesi che con una simbologia cara agli economisti avranno la ripresa a V e quelli che l’avranno a U.

La risposta alla crisi secondo lo studio ha “aumentato la necessità di ascoltare e connettersi direttamente con le persone a tutti i livelli dell’organizzazione, appiattendo la gerarchia e incoraggiando alla partecipazione per ottenere un feedback da tutti i dipendenti”. Gli strumenti citati includono sondaggi, focus virtuali gruppi e siti interni. E viene menzionata una ricerca sulla crisi finanziaria globale del 2008 che ha messo in luce come le aziende che si sono impegnate a condividere le informazioni e che hanno utilizzato la condivisione dei processi decisionali, abbiano risposto più efficacemente alla crisi, ottenendo risultati migliori già nel breve periodo.

La centralità nel lavoro umano nulla toglierà all’aggiornamento della domanda per le professioni del domani ad alto tasso di digitalizzazione che comunque saranno destinate a crescere contemporaneamente all’adozione di nuove tecnologie nei processi di produzione di beni e servizi. In un contesto di questo tipo alle consuete skill su capacità specifiche dovrebbe essere affiancata la capacità di lavorare all’interno di team multidisciplinari e di utilizzare e gestire le tecnologie in continua evoluzione. Di qui l’esigenza di dotarsi di una forza lavoro capace di stare al passo con i tempi con skills aggiornate, un problema comune a molti paesi occidentali che lamentano carenza di forza lavoro qualificata adatta alle sfide della digitalizzazione.

L’Italia è poi ancora più indietro e vede aumentare i divari tra fasce di occupazione, oltre al cronico problema della produttività che già con dati pre pandemia denotava un ampio gap con altri paesi. E dopo anni di bassa crescita l’Istat ha appena segnalato che in Italia l’indice sul totale dei fattori che indicano la produttività è addirittura arretrato andando in negativo con un -0,5%. A pesare secondo l’Ocse è proprio una occupazione di bassa qualità in tanti settori, dove solo l’industria traina l’innovazione, mentre il terziario continua a far registrare una dinamica sempre più negativa. E l’Ocse avverte che questa situazione porta una serie di importanti conseguenze come la scarsa competitività, i salari che non crescono e il Pil che inesorabilmente scivola sommando una ulteriore voce di arretramento.