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I supercomputer per dare un futuro alla ricerca e alle imprese. Nella gara della competitività con i colossi asiatici l’Ue prepara il Chips Act

Nella comunità degli scienziati l’hanno paragonata alla corsa degli anni 50 e 60 tra Stati Uniti e Unione Sovietica per la conquista dello spazio, oggi in un contesto molto differente dalla guerra fredda e con attori quasi tutti cambiati, i paesi più potenti al mondo inseguono il primato della High Performance Computing, la capacità di supercalcolo che regola la possibilità di fare esperimenti scientifici avanzati. È una gara di velocità e capacità, chiamata anche del supercomputer, indispensabile per la sperimentazione e per il futuro delle imprese. I sistemi più potenti sono in Cina per numero (173), sistemi di condivisione, numero di Core e altri parametri come Rmax e Rpeak, seguono a ruota gli Stati Uniti (143) e molto dopo Giappone, Germania e Francia.

In Italia che si trova all’undicesimo posto tra le ‘super computing nations’, si lavora in particolare a 6 supercomputer e tra le grandi aziende prevale il gioco di squadra. Nel Leonardo Labs di Genova è stato approntato un apparato da 10 tonnellate battezzato DaVinci-1, con capacità di 5 milioni di miliardi di operazioni con virgola mobile al secondo, mentre l’Eni ha lanciato il suo nuovo supercomputer HPC5, con 35 milioni di miliardi di operazioni al secondo con virgola mobile. “Dobbiamo fare rete – ha detto l’Amministratore delegato di Leonardo Alessandro Profumo che ha raccolto il lavoro avviato da Roberto Cingolani, oggi ministro della Transizione ecologica che due anni fa era Chief Technology and Innovation Officer di Leonardo – ciò su cui stiamo lavorando è come mettere questa capacità computazionale al servizio dei fornitori”.

Ma se da una parte i progetti di supercomputing vanno avanti e migliorano le loro prestazioni, dall’altra l’Europa cerca di affrontare la penuria di chip, nuove fabbriche di semiconduttori sono in aumento in tutto il mondo ma non nel vecchio continente. Oggi l’80% della produzione mondiale di semiconduttori è ad appannaggio di un numero concentrato di paesi: Giappone, Corea del Sud, Taiwan e il distretto di Shanghai, per questo il mese scorso il commissario al Mercato interno, all’Industria e al Digitale Thierry Breton ha annunciato un testo legislativo, il Chips Act con la mission di costruire una strategia per l’autonomia europea e per adeguare le norme sugli aiuti di stato, in sostanza per rendere l’Europa più competitiva. Una mossa che non viene più considerata rinviabile per Breton perché i produttori globali stanno aumentando i loro investimenti ed è ormai necessario diversificare le aree di produzione, nuove mega-fabbriche devono nascere sul territorio europeo. E ci sono aziende di successo, anche in Italia, inoltre il tentativo dell’Unione europea è quello di mettere a sistema anche in questo settore i finanziamenti pubblici-privati per i futuri hub produttivi che andranno a beneficio anche della ricerca. A Bruxelles è opinione diffusa che la catena del valore globale dei semiconduttori dipende dalle capacità dell’Europa, a partire da ricerca e sviluppo. Tanto più che l’Europa è il luogo dove si fa più ricerca, sia per le aziende americane che per quelle asiatiche. E nei Paesi Bassi si trova ASML, il leader mondiale nella produzione dei super-robot che alimentano gli impianti di produzione di chip. Il commissario Breton ha detto: “Nessuno ha il controllo completo sulla catena del valore dei semiconduttori. Di fronte al rischio che parte di questa catena si spezzi, a causa della pandemia o della geopolitica, dobbiamo essere in grado di impegnarci nei rapporti di forza. È ciò che abbiamo fatto già con i vaccini, questo è il mondo in cui viviamo. L’Europa non è protezionista, ma neanche ingenua. Nell’ambito delle nostre alleanze, affermiamo i nostri punti di forza e interessi”.