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Europa e Stati Uniti alle prese con l’inflazione record e pochi interventi concreti per raffreddare i prezzi che pesano sulle economie nazionali e sistema imprese

La questione energetica e le difficoltà del commercio globale continuano a far correre l’inflazione, i cui tassi stanno facendo salire il livello dei prezzi con ripercussioni evidenti anche sul sistema delle imprese. Le Banche centrali occidentali mantengono la previsione che si tratti di un effetto temporaneo che gradualmente di attenuerà, ma all’orizzonte si profilano decisioni, a cominciare dalla Fed americana che è alle prese con un aumento dell’inflazione (più 6,8%), come quella di 40 anni fa, il 1982, quando alla Casa Bianca c’era Reagan. E secondo il report di Standard & Poor’s le attuali tensioni sui prezzi ci accompagneranno almeno sino al 2023.

L’inflazione cresce in maniera omogenea in molti paesi, Eurostat ha previsto un livello di inflazione pari al 2,5 per cento nel 2022 per l’area Ue, dunque fuori dall’obiettivo 2% e il fenomeno interessa anche economie fuori dal contesto occidentale, dalla Russia che raggiunge l’8%, mentre in Cina l’indice dei prezzi alla produzione è aumentato del 10,7 per cento a ottobre su base annua. Gli analisti finanziari concordano che alla base dell’inflazione c’è sempre di più l’elevato grado di interconnessione economica tra le nazioni. L’aumento dei prezzi dell’energia ha riguardato tutti, l’Istat ha monitorato che una larga parte dell’aumento inflattivo è dovuto ai prezzi dei beni energetici, la cui componente regolamentata è cresciuta di oltre il 42 per cento, mentre quella non regolamentata si è fermata al 15%. E secondo la Bce, l’energia è stato il principale driver dell’inflazione nella seconda parte dell’anno, e poco o nulla lascia pensare che durante l’inverno il trend possa regredire.

L’impatto sul comparto produttivo delle imprese italiane è aggravato dall’aumento del costo delle materie prime e dei semilavorati causato dal rallentamento degli approvvigionamenti, in alcuni casi vere e proprie strozzature e dall’esplosione dei suddetti costi dell’energia elettrica. Fattori a cui va sommato il raddoppio della tassazione sull’emissione di CO2 che costringe le aziende ad avere una struttura di costi fissi che viene squilibrata da costi variabili fuori controllo. Gli imprenditori volgono dunque lo sguardo alla Bce per l’atteggiamento che assumerà nelle politiche espansive attraverso la piena attuazione del PEPP (Pandemic Emergency Purchase Program da 1700 miliardi per fornire ai sistemi bancari tutta la liquidità necessaria a sostenere il comparto produttivo. In un altro paper si afferma che attualmente i prezzi sono spinti verso l’alto perchè la domanda per beni e servizi non è pareggiata dall’offerta. Il settore industriale fatica a soddisfare le richieste dei consumatori che tornano a spendere. Su questo si innestano le variabili italiane come la liquidità erogata dai governi durante la pandemia tramite sostegni e bonus comporta oggi che sia persone che imprese abbiano risorse economiche aggiuntive da spendere.

C’è poi la questione collegata al commercio mondiale: nel trasporto, stoccaggio e distribuzione delle merci che si ripercuotono inevitabilmente sui prezzi delle materie prime, l’ufficio studi di Confindustria ha segnalato alcuni prezzi in rialzo vertiginoso, in taluni casi oltre il 50%. Gli esperti dicono che una normalizzazione dei prezzi dell’energia aiuterebbe immediatamente a rallentare l’inflazione, tuttavia la stabilizzazione o addirittura la diminuzione dei prezzi non sembra all’orizzonte, ma in secondo luogo le politiche delle banche centrali potrebbero produrre effetti. La Fed alzerà i tassi di interesse, che potrebbero essere ritoccati tre volte nel corso del prossimo anno, la decisione è stata presa proprio “alla luce dell’andamento dell’inflazione e dell’ulteriore miglioramento del mercato del lavoro”. La Bce non lo farà almeno nei prossimi sei mesi, preferendo agire sul livello di liquidità nell’economia europea riducendo gli acquisti di titoli sul mercato finanziario.